Continua la condivisione di pratiche che, a nostro avviso, possono essere utili in questo periodo sospeso che vede molti e molte di noi più statici del solito. Abbiamo chiesto aiuto alla figura mitologica del makara, poi a quella del piccione reale… e oggi ci affidiamo alla millenaria sapienza dei bovini: se c’è, infatti, una cosa che abbiamo imparato in India è “quando sei in crisi, cerca un bovino”!

 

Gomukhāsana

La postura del muso di vacca

“Seduti con il busto immobile, si portino ai lati della schiena i piedi distesi al suolo. Questa è la postura gomukha, che ha l’aspetto del muso della vacca.” GS: 2.16

«La Haṭhayoga-pradīpikā (I.20) precisa che le gambe devono essere incrociate in modo da portare la caviglia destra contro il fianco sinistro, e viceversa.» [1]

Si tratta di una posizione che potrebbe non essere accessibile a tutti al primo tentativo, ma che si presta ad essere praticata anche con adattamenti e in modo parziale.

Per accedervi ci sono diverse modalità
Dalla posizione seduta a ginocchia flesse:

  1. sedersi a terra con le ginocchia flesse e le piante dei piedi appoggiate al terreno e separate più della larghezza delle anche;
  2. a questo punto passare un piede, immaginiamo il destro, sotto al ginocchio sinistro per portarlo ad appoggiare il tallone all’esterno del gluteo sinistro;
  3. a questo punto fare la stessa cosa con il piede sinistro, passandolo sopra al ginocchio destro per portare il tallone all’esterno del gluteo destro. [2]
  4. La posizione finale ci vedrà seduti con il glutei a terra nello spazio dei piedi, i talloni appoggiati all’esterno dei glutei e e le punte rivolte verso l’esterno a ricordare le orecchie delle mucca.

 

Dalla posizione seduta con le gambe stese:
Utilizziamo spesso questa modalità quando avviciniamo gomukhāsana durante il riscaldamento delle gambe a inizio lezione, ispirato alla sequenza di “pawanmuktasana 1 – gruppo antireumatico” [3]: in questo si comincerà dalla gamba che passa sopra, allineando le due ginocchia e portando il tallone in esterno al gluteo.
Ci possiamo arrivare sia dalla posizione seduta statica, sia dal movimento che chiamiamo “del cullare” dove una gamba flessa viene mantenuta “come un bebè” e oscillata sul piano frontale, prima in modo delicato, poi più vigoroso verso l’esterno, per poi essere portata in chiusura, adagiando il ginocchio su quello della gamba stesa e il piede in esterno al gluteo.

In questo modo la posizione si presta anche ad essere eseguita in forma parziale, ossia mantenendo la gamba sotto estesa, soprattutto se l’obiettivo è di cominciare a lavorare su questo gesto di strizzamento del bacino.
Da questa mezza posizione sarà possibile passare alla posizione completa sollevando leggermente il gluteo ancora libero e flettendo la gamba stesa, portare il tallone all’esterno del gluteo.

 

Un’altra modalità, utile per chi ha gambe grosse o rigide, potrebbe essere quella di entrare in gomukhāsana dalla posizione quadrupedica che chiamiamo “del gatto”: in questo caso si può portare un ginocchio dietro l’altro, mantenendo i piedi ben distanziati, e, con l’aiuto delle mani, portare il bacino a terra nello spazio tra i piedi.
Utile a questo punto premere con le due mani sulle piante dei piedi e risollevare il bacino per qualche movimento di antero – retro versione e qualche movimento laterale che chiamiamo “della papera”: in pratica un oscillare a destra e sinistra mantenendo il bacino il più possibile morbido.

 

Qualunque sia la porta d’accesso per gomukhāsana la sfida è quella di riuscire a permanervi nell’agio: in caso di scomodità o fatica, oltre alla possibilità di praticarla in modo parziale, può essere utile aggiungere un rialzo sotto al bacino che consenta una seduta più alta e agile e meno richiestiva per le ginocchia.

La posizione si presta ad essere mantenuta statica, con le mani sulle piante dei piedi o sovrapposte sopra al ginocchio.
Non a caso nella tradizione Satyananda, con diverso nome, la posizione è indicata nel gruppo degli āsana meditativi come una valida alternativa ad altre posizioni sedute, e considerata molto benefica proprio per la inusuale posizione delle ginocchia e che “influisce sulla struttura pelvica e allunga i muscoli esterni delle cosce anziché quelli interni […] e inoltre massaggi e tonifica gli organi pelvici e riproduttivi.” [4]

La posizione è spesso proposta con una variante delle braccia che, in qualche modo, va a completare il lavoro in atto sugli arti inferiori.

 

Tuttavia a noi piace proporla più sotto forma di kriyā per come ci è stata trasmessa da Walter Thirak Ruta secondo gli insegnamenti ricevuti da Swamiji.
Si tratta in questo caso di realizzare la posizione statica prima con il busto eretto e poi in flessione, avvicinando il meno alle mani posizionate sul ginocchio, rimanendo in entrambe le posizioni per un certo tempo. Gli stessi gesti saranno ripetuti con un diverso atteggiamento delle braccia (braccia aperte lateralmente, braccia stese oltre il capo con le mani a preghiera in rotazione, mani a preghiera dietro la schiena…) mantenendo sempre la posizione statica prima a busto eretto e poi in flessione, avendo cura di non sollevare i glutei da terra e non “spalmarsi” sulle cosce-ginocchia, ma mantenendo sempre la schiena attiva e allungata e non indulgere nello spostare altrove il lavoro. [5]

 

La posizione si presta, inoltre, ad eseguire delle torsioni di colonna, da realizzare sui due lati per ciascun incrocio delle gambe.

 

Come tutte le posizioni sedute l’effetto prodotto dal radicamento del bacino a terra, in questo caso anche saldamente strizzato, è il favorire l’apertura toracica e l’allungamento della colonna, facilitato dalla leggera trazione che possono esercitare le mani intrecciate sulle ginocchia.

 

Quello che, a nostro avviso, questa posizione regala, in un momento così statico come quello che stiamo vivendo, è una trasformazione della zona della bassa schiena, molto deprivata dalla lunghe ore passate seduti, nonché un prodigioso strizzamento delle gambe, vincendo i crampi e contrastando il fenomeno diffuso delle “gambe senza riposo”, nonché il sopracitato allungamento delle fasce esterne delle gambe, collegate con il meridiano MTC della vescicola biliare, molto attivo in questo momento (si veda in merito l’articolo dedicato alla Primavera secondo la MTC).

A noi piace perché infonde pace, una pace profonda così come il respiro che ne deriva.

 

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[1] Fossati Stefano (a cura di), Gheraṇḍa-saṃhitā (Insegnamenti sullo Yoga), Magnanelli, Torino, 1994, p.49.
[2] notare che da qui, lasciando il piede sinistro appoggiato a terra nei pressi del ginocchio destro, potremmo passare direttamente in una variante di Matsyendrāsana.
[3] Swami Satyananda Saraswati, Asana Pranayama Mudra e Bandha, tr. it. Scuola di Yoga Satyananda Edizioni Satyanananda Ashram Italia, Rimini, 2011, pp. 21-42.
[4] ivi, p. 101
[5] Per un approfondimento: Walter Thirak Ruta, Dio è felicità, Edizioni Pramiti, 2011, pp. 197-199

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